Il nuovo Israele

Un piano sinistro che coinvolge i più famosi oligarchi del mondo, così come FMI ed elementi chiave della lobby sionista globale, si nasconde sotto lo Stato indipendente di fatto creato da uno degli uomini più ricchi d’Inghilterra nel cuore della Patagonia argentina. Whitney Webb, Mint Press, 11 marzo 2019

continua Il nuovo Israele — Notizie dal Mondo

La guerra al Venezuela è costruita sulle bugie

John Pilger, 21 febbraio 2019

Viaggiando con Hugo Chavez, presto capì la minaccia del Venezuela. In una cooperativa agricola nello Stato di Lara, la gente aspettava pazientemente e con buon umore nel caldo. Brocche di acqua e succo di melone passavano in giro. Una chitarra suonava; una donna, Katarina, si alzò e cantò con un contralto roco.
“Che cosa dicono le sue parole?” Chiesi.
“Che siamo orgogliosi”, fu la risposta.

via La guerra al Venezuela è costruita sulle bugie — Notizie dal Mondo

Quattro elementi per comprendere il collasso statunitense

Mision Verdad 24 settembre 2018

I segni negativi sono sempre più critici nel ventre del Paese chiamato Stati Uniti d’America, divenuti crisi permanente costruita dalle élite del potere transnazionale nella sua burocrazia. Ma non succede nulla per i media aziendali negli Stati Uniti, tutto accade per responsabilità di un solo uomo, Donald Trump, che serve anche da simbolo evidente del decadimento statunitensi. Si prova con diversi strumenti nascondere ciò che realmente accade nelle viscere del sistema che governa gli Stati Uniti. Pertanto, il collasso degli Stati Uniti è dovuto a cause trascendentali in termini politici, economico-finanziari e sociali, continuate dai predecessori dell’attuale inquilino della Casa Bianca.

Una definizione veloce
Il processo che gli Stati Uniti vivono al collasso di sistema, come attualmente concepito, deriva da recenti analisi e ricerche, negli ultimi anni, che dimostrano il significativo deterioramento dell’ordine vigente nel Paese. Per capire cosa intendiamo per collasso è necessario notare alcune caratteristiche interessanti, secondo il professore universitario Carlos Taibo: “È un processo totale o parziale di scomparsa irreversibile delle istituzioni ed ideologie legittimanti di un certo ordine, sconvolgendo molte relazioni sociali, di potere, economiche, culturali, ecc. Produce alterazioni profonde nella soddisfazione dei bisogni primari di una popolazione, che generalmente ne vede la riduzione aumentare in modo significativo. Sperimenta “una generale perdita di complessità in tutte le aree, accompagnata da crescente frammentazione ed arretramento dei flussi centralizzanti””.
Da parte sua, l’ingegnere e scrittore russo-statunitense Dmitrij Orlov descrive le cinque fasi del collasso di una società che integra tutti gli aspetti quotidiani: finanziaria, commerciale, politica, sociale e culturale. Lo stesso autore chiarisce che queste fasi possono non avvenire in modo progressivo e in ordine, ma simultaneamente, con elementi dinamici strutturali della società da descrivere. In questo caso, il crollo degli Stati Uniti arriva con molte, se non tutte, le caratteristiche indicate da chi ha studiato e approfondito l’argomento. Successivamente, offriamo dati e risorse per una visione generale di ciò che accade nell’impero in declino.

Debito crescente e bancarotta
In realtà, lo stesso Orlov ha ripetuto varie volte che il crollo degli Stati Uniti deriva dalla loro struttura finanziaria ed economica, dato che il debito crescente e il fallimento di alcuni Stati dell’Unione mostrano segni di collasso. Secondo i dati forniti dal dipartimento del Tesoro, quest’anno il debito pubblico USA è salito a oltre 21 miliardi di dollari, di cui 5,6 miliardi sarebbero parte del debito interno, mentre quello degli investitori privati raggiunge i 15,3 miliardi. Con la presidenza Barack Obama, per fare un esempio, solo il debito pubblico passò dai 10,6 miliardi di dollari ai 19,9 miliardi. Del debito pubblico va capito cosa uno Stato ha nei confronti di individui o altri Paesi, un modo per ottenere risorse finanziarie attraverso emissioni di titoli o obbligazioni, le risorse finanziarie che aumenta. Diversi economisti hanno avvertito che la prossima crisi potrebbe essere cruciale nel crollo del sistema statunitense, dato che il dollaro mostra segni di crisi, perché molti investitori li vendono per altri meccanismi di risparmio, secondo il barone Jacob Rothschild, prima dei rischi nelle borse occidentali. Specificatamente, l’economista statunitense Peter Schiff aveva detto a Sputnik che probabilmente i prossimo crollo finanziario”sarà assai peggiore della Grande Depressione (1929). L’economia statunitense non è in condizioni ottimali, è peggiore di un decennio fa”, quando esplose la bolla immobiliare che rovinò diverse banche, compresa l’onnipotente Lehman Brothers. Inoltre, la situazione fiscale di molti Stati del Paese ha un deficit che è aumentato negli anni, a causa delle scarse capacità bancarie, di bilancio, di servizio e di fondi fiduciari. Tra questi, Illinois, Kentucky, Connecticut e New Jersey sono le principali entità a rischio di fallimento, e si avvicinano alla linea rossa del collasso economico-finanziario anche California, New Mexico e Louisiana. Questo era già stato previsto da Laurence Kotlikoff, professore di Economia alla Boston University, in un articolo pubblicato da Bloomberg nel 2010, sentenziando con numeri e argomenti che “il nostro Paese è a pezzi e non possiamo ancora permetterci soluzioni fasulle”.

Nuove patologie sociali
Chi soffre le fasi del crollo sono proprio i cittadini nordamericani, privati della protezione del governo e affondati in una grave situazione economica e finanziaria. Così, alcune patologie sociali mai viste prima dalla specie umana sono sorte, e sono state descritte dall’economista Umair Haque in un saggio tradotto e pubblicato qui (http://misionverdad.com/trama-global/por-que-desestimamos-el-colapso-de-estados-unidos). Tra le più scandalose, ci sono le ripetute sparatorie in spazi pubblici come scuole e centri commerciali, che quest’anno ha visto sangue versato almeno quattro volte, ma dal 2007 si sono verificati circa 10 volte. Ma c’è anche oggi negli Stati Uniti l’”epidemia degli oppiacei”, perché molti muoiono per overdose indotta o accidentale. Nel 2017 più di 70mila nordamericani sono morti e non sembra esserci soluzione a breve termine, dato che il paese perde la guerra contro le dipendenze, conseguenza della politica fallimentare contro la droga. Dal 1979, il numero di morti per droga è raddoppiato ogni otto anni, secondo il rapporto della rivista Science recensito dal Los Angeles Times, che rivelava i seguenti dati sulle overdose dello scorso anno: “Analgesici da prescrizione, eroina e fentanyl sintetico hanno ucciso più di 29000 persone. Cocaina, metanfetamina e altre droghe simili hanno un bilancio delle vittime che raggiungeva 72306 persone”. Queste “morti per disperazione”, come le chiama la rivista Science, sono anche legate ad indigenza, accattonaggio e frattura dei legami sociali diagnosticati da Haque, e che sono parametri non usati negli Stati Uniti, ma che ne rendono maggiormente vulnerabile la società. Dmitrij Orlov parla proprio del crollo sociale, perché consiste nella perdita della fede che le istituzioni sociali locali possano curare le persone, per non parlare del governo, data la crisi permanente fiscale. Il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla povertà estrema, Phillip Alston, dichiarò nel 2018 che 40 milioni di statunitensi vivono in povertà, 18,5 milioni in povertà estrema e 5,3 milioni sopravvivono in uno stato che definisce da “Terzo mondo”. Queste cifre sono coerenti col censimento ufficiale, poiché Alston sostiene che i numeri sono inferiori a quelli dettati dalla realtà del Paese. Ma afferma anche che c’è la crescente criminalizzazione della povertà, producendo sempre più una situazione completamente contraria al benessere spacciata dalla propaganda statunitense. Per lo statunitense medio, il sogno americano è un incubo. Che i politici usano per gli interessi di certe élite opulente.

La lotta politica scade
Pur di mantenere un sistema finanziario indebitato e in bancarotta, la classe politica statunitense apporta modifiche corrispondenti in tale stadio neoliberista, in cui gli stati-nazione hanno poco potere sugli interessi aziendali, i cui poteri aumentano con la crisi al massimo grado di ebollizione. L’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti portò alla lotta interna nell’apparato burocratico di Washington e in altri spazi di potere come media, propaganda e altre istituzioni private nel Paese. Poiché Trump rappresenta una parte dell’élite sminuita dalla corsa del globalismo neoliberista e guerrafondaio, i suoi predecessori e altri agenti e operatori che li supportano continuano una guerra a bassa intensità coll’attuale amministrazione in un Paese dal passato politico carico di assassinii e golpe di vario genere (Kennedy 1963, Nixon 1972, Bush 2001) ed obiettivi diversi. Pertanto, le azioni dell’amministrazione Trump sono messe in discussione e alcuni fattori concorrenti cercano di creare un ambiente adatto all’impeachment del presidente degli Stati Uniti, che potrebbe sovvertire gli Stati Uniti con una logica da guerra civile. Le “elezioni di medio termine”, in cui i politici sono votati al Congresso, Senato e governi statali, sono cruciali perché rappresentano ora il picco della lotta per la struttura burocratica che potrebbe o meno sostenere i piani del governo Trump. Secondo la tesi del giornalista e analista politico Thierry Meyssan, l’attuale presidente degli Stati Uniti punta a “reinvestire il capitale transnazionale nell’economia degli Stati Uniti e a far uscire Pentagono e CIA fuori dall’attuale ruolo imperialista in modo che possano tornare alla difesa nazionale”. Perciò, Trump si libera degli accordi commerciali internazionali che predecessori promulgarono e tenta di ricomporre o, nel migliore dei casi, di dissolvere le strutture intergovernative che mantengono l’ordine imperialista degli USA. Clinton, Obama, Bush e altri personaggi che hanno guidato la politica interna ed estera del Paese verso la sovversione totale in cui l’egemonia degli Stati Uniti cercava d’imporsi con la forza e finanziariamente, sono gli elementi visibili della politica profonda che adotta tale approccio imperiale. Hanno usato la burocrazia statunitense per intraprendere piani per l’ineguale globalizzazione e guerre per risorse e piani geopolitici. Tale lotta è un altro allarme del collasso della classe politica, poiché gli interessi che governano gli attori contendenti sono sempre più denunciati mentre l’establishment politico crolla assieme al collasso economico che rappresenta. L’immagine di uno scivolone sul bordo di una buca profonda e oscura potrebbe validamente indicare il punto di svolta in cui si trova la situazione politica nordamericana.

Isolazionismo o globalismo?
Uno dei problemi cruciali quando si parla di politica estera è il confronto di due visioni che si scontrano ora nell’arena pubblica internazionale. Donald Trump, col suo motto America per prima, prende come bandiera il cosiddetto isolazionismo, dato che cil porta a stabilire una politica di reindustrializzazione nazionale e a ridurre le importazioni per dare impulso alle esportazioni, con una recinzione ben definita dei confini degli Stati Uniti. Ed è lo stesso presidente Trump che è riuscito a trarre profitto dal crollo del vecchio consenso tra i due partiti dominanti (repubblicani e democratici) che presumeva gli Stati Uniti il poliziotto per la salvaguardia della “sicurezza globale”. Sotto tale paradigma, la Casa Bianca negozia con la demonizzata Russia di Vladimir Putin alcuni termini come l’annessione sovrana della Crimea alla Federazione Russa, a firmare un accordo (ambiguo, ma privo di umori) con la Corea democratica, iniziare la guerra il commercio con la Cina nel quadro del piano del Pentagono che riconosce il gigante asiatico come suo “principale concorrente”, minimizzare il riordino della NATO minacciandone il bilancio, violare i grandi accordi commerciali internazionali sviluppati dall’amministrazione Obama (come il Trans Pacifico) e accordarsi con alcune potenze del Medio Oriente (Russia, Iran, Turchia) per la fine della guerra transnazionale alla Siria. L’ordine liberal-neoconservatore che aveva negli Stati Uniti il suo massimo egemone, così difeso dai clan Clinton-Bush-Obama, è messo in discussione dall’isolazionismo nazionalista guidato da Trump. Ecco perché a livello internazionale si mostra la prima potenza mondiale dalla caduta del muro di Berlino come un pugile suonato. Nel quadro dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il presidente Trump ha detto che “non è il presidente del mondo”, esprimendo la politica isolazionista contro quella globalista rappresentata dai presidenti prima di lui. La crisi del “consenso” è un riflesso fedele del collasso descritto rapidamente, e che sembra non avere ritegno, partendo dal presupposto che in primo luogo il collasso si sente negli Stati Uniti, per poi espandersi globalmente, dato che l’internazionalizzazione del sistema statunitense basato sul dollaro e la guerra imperitura toccano tutto il pianeta. In questo senso, molti importanti attori geopolitici, come Cina, Russia, Iran, Turchia, India, e persino Venezuela, cominciano a vedere questo collasso e affrontano in diversi modi (specialmente in campo economico-finanziario e politico) l’attuazione delle riforme necessarie al sistema internazionale dopo il crollo.

thanks to: Traduzione di Alessandro Lattanzio

Aurorasito

La guerra in Libia da maggio 2017 a settembre 2018

Alessandro Lattanzio

Nel sud dell’Egitto, nella provincia di Minya, il 26 maggio i terroristi del SIIL uccidevano 28 pellegrini cristiani in viaggio su un autobus. Il Presidente Abdalfatah al-Sisi dichiarava che avrebbe colpito il terrorismo sponsorizzato dall’estero, colpendo le basi dei terroristi, all’interno o all’estero. “L’attentato di oggi non sarà ignorato. Puntiamo ai campi in cui vengono addestrati i terroristi. L’Egitto non esiterà a colpire tutti i campi che ospitano o addestrano terroristi, sia all’interno dell’Egitto che all’estero”. Gli attacchi aerei avvenivano in Libia alcune ore dopo l’attentato. Le forze di sicurezza egiziane avevano distrutto circa 300 autoveicoli dei terroristi in due mesi. L’Egitto aveva effettuato 6 attacchi aerei presso Derna in Libia orientale, “dopo averne confermato il coinvolgimento nella pianificazione e nell’attacco terroristico nel governatorato di Minya”. Il 26 maggio scoppiavano scontri a sud di Tripoli, ad Abu Salim, dove 17 miliziani del GNA furono giustiziati presso la prigione al-Hadhaba dalle milizie islamiste rivali del Fajr al-Lybia di Qalifa Ghwayl e Salah Badi. Negli scontri si avevano 52 morti e più di 100.
L’avvocato di Sayf al-Islam Muammar Gaddafi, Qalid al-Zaydi, dichiarava che il figlio del defunto leader libico è un uomo libero, in conformità con l’amnistia approvata dal “Parlamento libico”, e che Sayf al-Islam aveva lasciato Zintan. Qalid al-Zaydi affermava che Sayf al-Islam ha rispetto e gratitudine per tutti i Paesi arabi, tra cui l’Arabia Saudita, secondo cui la fine del leader Muammar Gaddafi nel 2011 suscitò una grave minaccia per il regno, che verrebbe diviso da agenti influenzati dal Qatar. Secondo il Consiglio supremo delle tribù libiche di Mahmudi al-Baghdadi, Sayf al-Islam si sarebbe recato nella parte orientale del Paese, dato che gli anziani del Consiglio di Bayda avevano detto ai capi di Zintan che, in caso di rilascio, l’avrebbero accolto come “un secondo figlio”.
Il 28 giugno, aerei da guerra egiziani distruggevano un convoglio di 12 autoveicoli carichi di armi, munizioni e esplosivi provenienti dalla Libia.
Il feldmaresciallo Qalifa Haftar, leader dell’Esercito nazionale libico (LNA), il 6 luglio dichiarava la liberazione completa di Bengasi. “Le nostre forze armate dichiarano la liberazione di Bengasi dal terrorismo, piena liberazione e vittoria della dignità sul terrorismo. L’LNA si congratula con il popolo libico e ringrazia tutte le forze di sostegno e i vicini che ci hanno sostenuti. Bengasi entrerà in una nuova era di sicurezza, stabilità, prosperità e pace. Gli sfollati ritorneranno a casa”. L’LNA aveva liberato il Suq al-Hut e Sabri, nella città vecchia di Bengasi.
Il 16 luglio, l’Aeronautica egiziana distruggeva 15 autoveicoli dei terroristi entrati nel confine occidentale dell’Egitto dalla Libia. Inoltre, la 3.za Armata egiziana e l’Aeronautica egiziana sventavano un attacco terroristico nel Sinai, distruggendo un’auto carica di esplosivi, eliminando i 6 terroristi a bordo, in una zona montuosa del Sinai centrale.
Il 22 luglio, l’Esercito nazionale libico si scontrava con gruppi islamisti a Bengasi, mentre le forze LNA effettuato attacchi aerei presso Derna. Le forze speciali effettuavano un attacco alle ultime sacche del Majlis Shura Thuwar, nella zona di Quraybish, eliminando 6 terroristi.
Il 25 luglio, il presidente francese Emmanual Macron ospitava a Parigi Qalifa Haftar e Fayaz al-Saraj, per un accordo che impegnasse un cessate il fuoco in Libia e a tenere le elezioni nazionali nella primavera 2018. “Macron vuole essere molto più coinvolto in Libia, va bene, ma ci ha spazzato via, non siamo stati consultati. C’è molta rabbia su questo”, affermava un diplomatico nel ministero degli Esteri italiano. Il 29 luglio 1 MiG-21 del LNA si schiantava a Zuhr al-Haram, a sud ovest di Darna. I due piloti si eiettarono, ma il colonnello Adil Jihani veniva ucciso.
Il 14 agosto, Il leader dell’Esercito Nazionale Libico Nazionale Qalifa Haftar si recava a Mosca per colloqui con il Ministro degli Esteri Sergej Lavrov. Haftar dichiarava: “Confermiamo il nostro desiderio di continuare a costruire la nostra amicizia con la Russia e la cooperazione con il vostro Paese in tutte i campi. I nostri Paesi hanno una storia di forti relazioni e ci aspettiamo di continuare a costruire la partnership. La Russia può svolgere un ruolo nella riconciliazione della crisi libica e saremo lieti se le azioni della Russia saranno utili… Non abbiamo concordato un particolare ruolo della Russia, ma vorremmo accogliere qualunque ruolo che Mosca giocherà nel processo”.
Il 15 agosto, il Generale Qalifa Haftar visitava Mosca incontrando i Ministri degli Esteri Lavrov e della Difesa Shojgu della Federazione Russa. Era la terza visita in Russia. Haftar sottolineava il ruolo dell’esercito nazionale libico nella lotta al terrorismo, affermando che “circa il 90 per cento del Paese è stato liberato”, nonostante l’embargo sulle armi e “un supporto finanziario e militare illimitato dei terroristi”. Lavrov osservava che “Purtroppo, la situazione in Libia rimane complicata, la minaccia dell’estremismo nella vostra patria non è ancora superata. Tuttavia, siamo consapevoli dei passi intrapresi e sosteniamo attivamente il processo… per la riconciliazione politica, il pieno ripristino della stato nel vostro Paese di tutte le forze politiche, tribù e regioni principali. È stato anche confermato che la Russia è pronta a fornire ulteriori assistenza per promuovere il processo politico, contattando tutti i partiti libici”. Haftar dichiarava che “L’esito dei colloqui è molto positivo. Abbiamo informato Lavrov sui nostri problemi, descrivendo il quadro completo. Naturalmente, i russi pensano a come partecipare nelle decisioni necessarie. Saremmo lieti se la Russia continui a parteciparvi. Sì, abbiamo discusso dell’aiuto militare. Sono certo che la Russia rimane un nostro buon amico e non rifiuterà di aiutarci”. Dopo l’incontro con Lavrov, Haftar incontrava il Ministro della Difesa Sergej Shojgu, dove l’attenzione si concentrava sugli sviluppi in Nord Africa, con particolare attenzione alla situazione in Libia.
Il 18 agosto, per la prima volta in sette anni, un aereo siriano atterrava sull’aeroporto Benina di Bengasi, inaugurando i voli regolari tra Damasco e Bengasi. Questo era anche il primo aereo estero ad atterrare a Bengasi dal 2014.
Il 4 settembre, il Generale Qalifa Haftar vietava ai funzionari del Governo dell’Assemblea Nazionale (GNA) e del Consiglio Presidenziale guidati da Fayaz al-Saraj l’ingresso nell’est della Libia, ciò poche ore dopo che al-Saraj aveva nominato il comandante delle Forze Speciali Faraj Iqaym, segretario del ministro degli Interni del GNA. I membri del Consiglio presidenziale di Saran, Fathi al-Mijibri, Ali al-Gutrani e Umar al-Asuad sostenevano la decisione di Haftar, e invitavano la missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia, a condannare al-Saraj per attentato all’unità della Libia, e riconoscere solo la Camera dei Rappresentanti in Tobruq e le Forze Armate guidate da Haftar.
I leader dell’Esercito nazionale libico si recavano a Cairo per incontrare il Capo di Stato Maggiore egiziano Mahmud Hijazi, poiché “i capi dell’Esercito nazionale libico hanno scelto l’Egitto come punto di partenza per la riorganizzazione dell’esercito libico, nel quadro degli sforzi egiziani per porre fine allo stato di divisione e unificare l’esercito libico. La delegazione militare libica ha discusso con lo Stato Maggiore egiziano tutte le fasi della crisi affrontata dall’istituzione militare in Libia negli ultimi sette anni”. La delegazione dell’Esercito nazionale libico ha dichiarato d’impegnarsi “a creare uno Stato moderno, democratico e civile basato sui principi del trasferimento pacifico del potere, del consenso e dell’accettazione dell’altro, nonché del rifiuto di ogni forme di emarginazione e di esclusione di qualsiasi parte libica”. Egitto e Libia “formano comitati tecnici congiunti per discutere i meccanismi di unificazione dell’istituzione militare in Libia e studiare tutte le questioni che potrebbero sostenerla. Oltre a lavorare sull’unità della istituzione militare libica e sulla responsabilità dell’esercito libico su sicurezza e sovranità dello Stato, nonché combattere estremismo e terrorismo e respingere le interferenze estere negli affari libici”.
Il 28 settembre l’Aeronautica egiziana distruggevano almeno 10 autoveicoli dei terroristi carichi di armi provenienti dalla Libia, mentre il 25 settembre l’esercito egiziano eliminava 6 terroristi e 6 autobombe a sud di Zuayd, nel nord del Sinai.
Il 29 settembre, a Sabratha si avevano scontri tra l’Esercito nazionale libico (LNA) e le forze del governo dell’accordo nazionale di al-Faraj. Lo sceicco a capo della Fratellanza musulmana, e agente di Roma, il Gran Muftì Sadiq al-Ghariani, incitava le milizie della Fratellanza musulmana a combattere l’LNA, come “prosecuzione della battaglia per Bengasi” e invitava i cosiddetti “rivoluzionari libici” (la Fratellanza musulmana) a supportare il governo di al-Faraj e a unirsi contro l’LNA, che “combatte contro la rivoluzione”.
Il 23 ottobre, 8 autoveicoli islamisti venivano distrutti da attacchi aerei egiziani sul confine libico-egiziano.
Il 1° novembre 2017, l’aeronautica egiziana eliminava in una zona montuosa ad ovest di Fayum, a sud di Cairo, una base dei terroristi, assieme a 3 autoveicoli che trasportavano armi, munizioni ed esplosivo. Combattimenti scoppiavano nel Warshafana, Libia occidentale, tra gruppi armati locali e le forze militari del Maggior-Generale Usama Juayli, nominato da Fayaz Mustafa al-Saraj, presidente del Consiglio presidenziale della Libia e Primo Ministro del Governo di Accordo Nazionale (GNA). La Brigata dei rivoluzionari di Tripoli (TRB) prendeva parte all’operazione, assieme alle brigata Zintan di Haytham Tajuri, del consiglio militare di Zintan, contro Jafra e Aziziya, nel Warshafana. In realtà tali forze si scontravano con la 4.ta Brigata del LNA. Il 7 novembre, la 4.ta Brigata veniva dispersa e il LNA perse le posizioni nella regione. Si consolidava così l’alleanza tra le suddette forze islamiste e le milizie Janzur e Zawiya, dietro si delinea la regia dell’Italia.
Il 18 dicembre, il comandante dell’Esercito nazionale libico Feldmaresciallo Qalifa Haftar denunciava la fine degli accordi di Shqirat del 17 dicembre 2015, firmati in Marocco, nonostante l’opposizione dell’ONU alla mossa di Haftar, che aveva dichiarato: “la legalità di tale cosiddetto accordo politico è scaduto insieme a tutte le strutture create con esso. Le forze armate non seguiranno gli ordini di alcun partito che non abbia ricevuto legittimità dal popolo libico”, sottolineando che il Comando supremo delle Forze Armate libiche colloquia direttamente con la comunità internazionale per la risoluzione della crisi libica. Due giorni prima, a Bengasi si ebbe la prima dimostrazione che chiedeva ad Haftar di prendere il potere, ed altre piccole manifestazioni si svolgevano a Shahat e Marj, ad est, mentre il sindaco islamista e filo-turco di Misurata, Muhamad Shatui, un fratello mussulmano collegato all’Italia, veniva liquidato a poche centinaia di metri dall’aeroporto della città base operativa delle unità dell’esercito italiano schierate in Libia. In tale contesto, i ministri degli Esteri di Algeria, Tunisia ed Egitto s’incontravano a Tunisi il 17 dicembre per chiedere ai partiti libici di “assumersi le proprie responsabilità per porre fine rapidamente alla fase di transizione, creando un clima politico e di sicurezza che permetta l’organizzazione di elezioni presidenziali e legislative”, e inoltre sottolineavano l’importanza di unificare tutte le istituzioni libiche, compreso l’Esercito nazionale libico. Haftar quindi dichiarava illegale il governo-fantoccio di F. al-Saraj, posto al potere in Libia dai governi Renzi e Gentiloni. Ciò significava che l’Esercito nazionale libico era pronto al conflitto armato contro il governo al-Saraj, burattino dell’UE, in particolare di Francia e Italia. In questa situazione, Sayf al-Islam Gheddafi annunciava l’intenzione di partecipare alle elezioni presidenziali in Libia del 2018. Subito dopo, il ministro degli Esteri france Le Drian incontrava a Tripoli Saraj, e a Bengasi Haftar, “per discutere del processo politico in Libia e della guerra al terrorismo guidata dall’esercito libico”. Le Drian chiedeva ad Haftar e all’ENL di rispettare l’Accordo politico libico (LPA) di Shqirat. “Le Drian, le Nazioni Unite e le potenze occidentali ancora non capiscono che l’LPA è respinto dal popolo libico come totalmente illegittimo ed irrilevante per il processo di pace”. Haftar non cedeva, sottolineando l’importanza del riconoscimento da parte delle Nazioni Unite e della comunità internazionale dell’azione dell’LNA contro il terrorismo, e concludeva, “Togliere l’embargo sulle armi all’esercito, se deciso dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sarà molto apprezzato”. Haftar riteneva che tale embargo serviva a dare una leva alla fazione di Saraj e agli islamisti in Libia, di cui Saraj è un agente.
Il 14 gennaio 2018, si avevano combattimenti presso l’aeroporto di Tripoli tra la “forza di deterrenza” del governo, che controllava l’aeroporto e il carcere, e la milizia di Tajura, con la morte di almeno 20 miliziani e un aereo di linea A319 e altri quattro velivoli danneggiati. L’attacco alla prigione presso l’aeroporto Mitiga, aveva come obiettivo la liberazione dei terroristi di al-Qaida e SIIL detenuti nella prigione gestita dalla forza RADA di Abdarauf Qara. Le milizie che avevano attaccato la prigione era forze fedeli al governo nominato dall’ONU di Fayaz Seraj ed alleate anche all’ex-primo ministro islamista Qalifa al-Gual e del Gran Mufti dei Fratelli musulmani al-Ghariani. Inizialmente la RADA aveva contrastato l’attacco con l’aiuto di almeno 10 milizie filo-governative guidate da Haitam Tajuri e di un aereo da ricognizione statunitense decollato da Sigonella, che aveva sorvolato Tripoli all’inizio dei combattimenti. A metà dicembre a Mosca il Viceministro degli Esteri Mikhail Bogdanov incontrava Bashir Salah, ex-Capo di Stato Maggiore del Colonnello Muammar Gheddafi, per discutere come sviluppare i contatti nella regione del Fizan, dove Salah è alleato con le tribù locali. Il presidente del gruppo di contatto russo-libico è Lev Dengov, consigliere del presidente ceceno Ramzan Kadyrov, che ha contatti regolari con fazioni di Tripoli e Misurata.
Il 19 gennaio, il Comitato per la difesa della Camera dei rappresentanti di Tobruq deplorava il voto del Parlamento italiano per aumentare le forze italiane presenti a Misurata, considerandola una violazione della sovranità della Libia. Il comitato dichiarava che l’aumento di forze italiane un Libia è il riconoscimento del Parlamento italiano della presenza di truppe italiane, fatto che l’Italia aveva finora negato.
Il 21 gennaio l’esercito nazionale libico (LNA) compiva attacchi aerei nel sud-est della Libia, presso Rabiana, distruggendo un convoglio di 15 autoveicoli dell’opposizione sudanese e ciadiana, tre giorni dopo che il Movimento per la Giustizia e l’Uguaglianza sudanese aveva ucciso 6 soldati dell’LNA nell’oasi di Jaqabub.
Il 22 gennaio 2 autobombe esplodevano a Bengasi, facendo 50 morti e 100 feriti nel quartiere Salmani, frequentato dai combattenti della 210.ma brigata, composta da salafiti. Tra i morti vi era Ahmad al-Fituri, capo della brigata salafita al-Tuhid, alleata dell’Esercito Nazionale Libico. Ahmad al-Fituri era stato anche membro della Brigata di Difesa di Bengasi (BDB) contraria ad Haftar. La BDB massacrò oltre 140 uomini, donne e bambini il 18 maggio 2017, a Braq al-Shati.
Il 3 maggio si verificavano potenti esplosioni presso la sede della Commissione elettorale nazionale di Tripoli, uccidendo oltre 15 persone, in coincidenza del ritorno di Qalifa Haftar da Parigi, in Libia. dopo due settimane di degenza. Inoltre, Aqila Salah, presidente del parlamento di Tobruq, la Camera dei rappresentanti (HoR), chiese le elezioni presidenziali tra settembre e dicembre 2018, ottenendo il sostegno do Francia ed Egitto.
L’8 maggio, il comandante dell’Esercito nazionale libico (LNA), Maresciallo Qalifa Haftar, avviava le operazioni per liberare Darna, occupata dai terroristi di al-Qaida dal 2011. Derna era considerata l’ultima roccaforte dei terroristi nell’est del Paese. Infatti, quando il Feldmaresciallo Qalifa Haftar tornò da Parigi, dichiarò “l’ora zero per liberare Darna” dal controllo della “Mujahideen Shura Council” (DMSC), una coalizione di fazioni islamiste.
Il 7 maggio veniva avviata l’offensiva del LNA su Darna, liberando aree rurali e montagnose nei pressi della città, e i quartieri periferici di Fatayah, Bab Tobruq e Tamasaqat. All’operazione dell’LNA partecipavano i battaglioni 101.mo, 102.mo, 106.mo e 309.mo, le brigate Tariq bin Ziyad e Tobruq Muqatila (coi battaglioni 104.mo, 159.mo, 409.mo e 501.mo, la Brigata delle forze speciali al-Sayqa, in totale oltre 1000 uomini. I velivoli impiegati comprendevano 1 Beechcraft B350 da ricognizione, che decollava dalla base aerea Qadim, 6 turboelica antiguerriglia AT-802, 2 UAV GJ-1 Wing Long dell’aeronautica degli EAU. Non mancava la componente navale costituita dal pattugliatore d’altura al-Qarama e dal pattugliatore costiero Damen Stan 1605, che avrebbero affondato 3 motoscafi che fuggivano da Darna con a bordo i capi del Consiglio e della liwa Shahin Abu Salim. Gli scontri avvenivano contro i gruppi islamisti di al-Qaida e Fratellanza Musulmana e fazioni a sostegno di Saraj, come i mujahidin del Consiglio della Shura di Darna (MCSD) e delle Forze di Protezione di Darna (FPD), nei quartieri Shiha e Sahal al-Sharqi. LNA impiegava cannoni D-30, M-1938, lanciarazzi BM-21 e mortai M-37, per distruggere depositi di armi e postazioni islamiste, a coprire l’avanzata dei carri T-54 e T-62 del 106.mo Battaglione che, supportato da velivoli MiG-21MF e MiG-23 avanzava su Shiha, Sahal, Qadija e Lamis, liberando il 70% della città, mentre gli islamisti tenevano al-Balad e Jabala. Il 15 giugno, l’Esercito nazionale libico (LNA) liberava a Darna i quartieri al-Qala, al-Muahshah, Shabiat Ghazi, la scuola al-Umar, Jabal al-Aqdar, Daman al-Ijitmai e Qab al-Ali. I droni statunitensi avevano lanciato in Libia, nei primi sei mesi del 2018, 243 missili anticarro Hellfire, oltre il 20% del totale di tutti i missili Hellfire lanciati in 14 anni.
Il 21 giugno, l’Esercito nazionale libico liberava la cosiddetta “mezzaluna petrolifera”, le aree petrolifere delle coste libiche da Tobruq a Sidra. L’Esercito nazionale libico al comando di Qalifa Haftar prendeva il controllo completo della “mezzaluna petrolifera” libica, dopo aver liberato i porti petroliferi di Ras Lanuf e al-Sidra, costringendo i gruppi terroristici filo-NATO, guidati da Ibrahim al-Jadran, a ritirarsi verso Misurata. Il capo della compagnia petrolifera libica NOC Mustafa Sanala dichiarava al vertice OPEC di Vienna, che le attività dei porti sarebbero riprese entro due giorni.
Il 29 giugno, il comandante Qalifa Haftar annunciava la liberazione della città di Darna dai terroristi di al-Qaida. “Annunciamo con orgoglio la liberazione di Darna, città cara a tutti i libici”. Darna, una città costiera di 150000 abitanti, segnava un importante passo del LNA per consolidare il controllo sulla regione.
Il 1° settembre, mentre avanzava verso Tripoli la 7.ma Brigata ‘Qanyat‘ di Tarhuna (guidata dai fratelli Qani), un razzo Grad colpiva l’ex-campo IDP di Tawargha a Tripoli, e ignoti liberavano dalla prigione di Ruaymi centinaia di prigionieri (probabilmente ex-ufficiali e funzionari della Jamahiryia Libica). Le milizie islamiste accusavano le forze di Tarhuna di essere forze combattenti leali a Gheddafi, mentre le forze dall’ex-capo di Fajir al-Libya, Salah Badi, avanzavano verso la periferia di Tripoli. L’avanzata delle forze di Tarhuna si scontrava coll’alleanza delle milizie islamiste di Misurata e Zintani, collegate alle intelligence italiana, saudita, qatariota e turca. Le forze di Tarhuna si scontravano quindi con gli islamisti delle brigate rivoluzionarie di Tripoli (TRB) di Haytham Tajuri, appena tornato dal pellegrinaggio in Arabia Saudita, a cui sottraevano la caserma Yarmuq, della forza di deterrenza centrale di Qanua Qiqli e della brigata Halbus 301 presso l’aeroporto, Qalat al-Furjan e Salahudin. Ciononostante, le forze di Tarhuna raggiungevano i quartieri Furnaj, Ayn Zara e Siahiya, dalla popolazione amazigh, mobilitandone quindi la Forza Mobile, altra milizia collegata all’intelligence italiana. Le forze islamiste di Zintani, guidate da Imad Trabalsi, occupavano una caserma presso l’Islamic Call Society, ad al-Jib, Tripoli. La forza di Trabalsi prende ordini dal Consiglio di Presidenza di Fayaz Saraj, che li aveva invitati a Tripoli per combattere come “forza neutrale” le forze di Tarhuna.
Muhamad al-Hadad, comandante della zona militare centrale, che era stato rapito nella città di Misurata, era stato appena nominato da Saraj comandante supremo dell’esercito di Tripoli, insieme a Usama Juayli, comandante della zona militare occidentale. I combattimenti avevano ignorato un simulacro di cessate il fuoco concordato il 31 agosto a Tripoli. Risultato ultimo dell’inefficienza del Consiglio della Presidenza e del Governo di Accordo Nazionale di Fayaz Saraj. Intanto Tripoli veniva bombardata nei quartieri Dahra, Bin Ashur e Qut Shal. Le forze di Tarhuna accusavano Saraj di aver tentato di “comprarle” durante i colloqui di mediazione, affermando di avergli offerto 250 dollari USA per ritirarsi da Tripoli; risposero rifiutando la “bustarella” e chiedendo lo scioglimento delle milizie per creare un esercito nazionale e una polizia unificata.
Il Supremo Consiglio delle tribù e città libiche nella regione occidentale dichiarava che “ciò che accade nella capitale Tripoli negli ultimi 8 anni non è altro che ingerenza delle milizie e del loro controllo sulle articolazioni dello Stato, con l’aiuto dei terroristi e guidati da capi stranieri”. Il Consiglio dichiarava che tali milizie usavano l’immigrazione clandestina come fonte di reddito, assieme a contrabbando di droga e carburante, furto di fondi bancari, e che ricorrevano all’intervento straniero, culminato nella violazione della sovranità nazionale della Libia. La dichiarazione condannava l’attacco aereo straniero sulla città di Tarhuna, uccidendo civili e soldati dell’esercito popolare. Il Consiglio esprimeva stupore per la Missione delle Nazioni Unite in Libia che aveva lasciato i prigionieri politici della Jamahiriya ed ufficiali dell’Esercito popolare nelle mani delle milizie, mentre si preoccupava dei migranti illegali e del loro desiderio di allontanarli dalle aree degli scontri, mostrando così la doppia morale della Missione ONU. Il consiglio dichiarava infine che le tribù marceranno libereranno i loro figli dalle prigioni delle milizie nel caso la missione delle Nazioni Unite non si assumesse le proprie responsabilità nei loro confronti, confermando di sostenere i fratelli di Tarhuna e che qualsiasi aggressione su Tarhuna sarà considerata come diretta contro le tribù e le città dell’ovest libico.

Thanks to: Alessandro Lattanzio