‘Bruciateli, sparategli, uccideteli’: gli israeliani esultano a Gerusalemme mentre i palestinesi vengono uccisi a Gaza

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Di Hind Khoudary, Lubna Masarwa, Chloé BenoistMiddle East Eye.

Mentre gli Stati Uniti trasferivano ufficialmente la loro ambasciata a Gerusalemme, le forze israeliane uccidevano decine di manifestanti a Gaza

Lunedì il contrasto tra Gerusalemme e Gaza non poteva essere più stridente, anche se le separano solo 75 chilometri.

Mentre i dirigenti americani ed israeliani inauguravano il trasferimento dell’ambasciata USA a Gerusalemme – una vittoria di Israele rispetto al rifiuto della comunità internazionale della sua pretesa di avere Gerusalemme come propria capitale – le forze armate israeliane sparavano sui manifestanti a Gaza, con un bilancio di morti che è cresciuto inesorabilmente nel corso della giornata.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha salutato con entusiasmo il trasferimento dell’ambasciata come un momento “storico”.

“Amici, che giorno di gloria, ricordatevi questo giorno”, ha detto il leader israeliano lunedì in un discorso trionfante. “Questa è storia. Signor Trump, riconoscendo la storia, voi avete fatto la storia. Tutti noi siamo profondamente commossi e grati. L’ambasciata della Nazione più potente del mondo, gli Stati Uniti d’America, è stata aperta qui.”

Il genero e principale consigliere di Trump, Jared Kushner, ha tenuto anch’egli un discorso durante la cerimonia, nel corso della quale ha ribadito il sostegno degli USA ad Israele, mettendo a quanto pare da parte le preoccupazioni riguardo alle azioni dell’esercito israeliano a Gaza che avvenivano in concomitanza con il suo discorso.

“Noi stiamo dalla parte di Israele perché entrambi noi crediamo nei diritti umani, nel fatto che la democrazia vada difesa e siamo convinti che questa sia la cosa giusta da fare”, ha detto Kushner.

Nel frattempo, proprio fuori dalla nuova ambasciata, i manifestanti palestinesi a Gerusalemme venivano brutalmente repressi dalle forze israeliane.

MEE è stato testimone di decine di palestinesi disarmati picchiati ed arrestati dalle forze di sicurezza israeliane fuori dalla ambasciata, suscitando gli applausi dei manifestanti israeliani venuti ad appoggiare l’apertura dell’ambasciata.

“Bruciateli”, “sparategli”, “uccideteli”, scandivano gli israeliani.

Intanto l’ex portavoce dell’esercito israeliano Peter Lerner si è lamentato sui social media, sottintendendo che le morti di palestinesi a Gaza erano un tentativo di rovinare la festa a Israele.

Ma a Gaza i palestinesi hanno manifestato la propria profonda rabbia e incredulità per i festeggiamenti che si tenevano a Gerusalemme mentre a centinaia venivano indiscriminatamente colpiti dalle forze israeliane.

Alle 19,30 ora locale erano stati uccisi dalle forze israeliane 52 palestinesi e feriti 2.410, l’epilogo sanguinoso delle 6 settimane della “Grande Marcia per il Ritorno” a Gaza, che era già costata 49 vite prima di lunedì.

Dal 30 marzo durante le manifestazioni a Gaza sono stati uccisi in totale 101 palestinesi.

Lo scenario a Gaza nella zona vicina alla barriera di separazione tra la piccola enclave palestinese ed Israele è stato di caos e sangue fin dal mattino, con numerosi dimostranti colpiti alla testa, al collo o al petto.

Molti corpi sono rimasti bloccati nei pressi della barriera, poiché il fuoco dell’esercito era troppo intenso perché le ambulanze potessero raggiungerli.

“Moltissimi palestinesi sono morti oggi in nome della protesta pacifica dei palestinesi e noi non rinunceremo a lottare per il sangue che hanno versato”, ha detto a Middle East Eye il cinquantaduenne Wadee Masri. “Sono venuto qui per partecipare alla marcia, per dimostrare che sono una persona che ha diritto a ritornare nella sua terra.

Gli odierni festeggiamenti a Gerusalemme mi rattristano per ciò che gli USA hanno fatto contro i palestinesi”, ha aggiunto. “Non c’è pace senza Gerusalemme. Noi vivremo e moriremo lottando per Gerusalemme.”

Associazioni internazionali hanno descritto la situazione a Gaza come un “bagno di sangue”.

Human Rights Watch ha dichiarato: “La politica delle autorità israeliane di aprire il fuoco contro i manifestanti palestinesi a Gaza, imprigionati da dieci anni e sotto occupazione da mezzo secolo, prescindendo dal fatto che vi sia una minaccia immediata alla vita, ha condotto ad un bagno di sangue che chiunque avrebbe potuto prevedere.”

Jamal Zahalka [deputato del parlamento israeliano del partito arabo israeliano di sinistra Balad, ndt.], un leader politico dei palestinesi cittadini di Israele, ha detto a MEE che Israele e gli USA sono i responsabili della violenza a Gaza.

“È una violazione del diritto internazionale. Trump e gli USA sono responsabili di tutto il sangue che è stato versato a partire dalla decisione degli Stati Uniti”, ha detto Zahalka.

“Quelli che oggi stanno festeggiando (l’inaugurazione dell’ambasciata USA) hanno le mani sporche di sangue.”

Ma nonostante il trauma della giornata più sanguinosa a Gaza dalla guerra del 2014, Samira Mohsen, una manifestante ventisettenne della zona est di Gaza, nonostante il pesante bilancio delle manifestazioni della giornata continua ad avere un atteggiamento di sfida.

“Un giorno festeggeremo a Gerusalemme, pregheremo là, nessuno ce lo impedirà”, ha detto a MEE. “Il mio sogno è di vedere Gerusalemme. Gerusalemme è la capitale della Palestina e Trump e gli USA non possono decidere di consegnare la nostra terra ai sionisti.”

(Traduzione di Cristiana Cavagna)

thanks to: zeitun.info

Il massacro di Gaza illustra l’ipocrisia occidentale

Finian Cunningham SCF 18.05.2018Questa settimana, il Presidente Vladimir Putin inaugurava il ponte di 19 chilometri che collega la Crimea alla Russia meridionale. A migliaia di chilometri di distanza, nella Palestina occupata, i soldati israeliani compivano un massacro col pieno appoggio degli Stati Uniti mentre apriva la nuova ambasciata. I due eventi non sono così distanti come si potrebbe pensare a prima vista. Entrambi implicano l’”annessione”; una fittizia e l’altra molto reale. Ma l’ipocrisia occidentale inverte la realtà. Mentre i dignitari statunitensi aprivano la nuova ambasciata USA a Gerusalemme, in pompa magna, circa 60 manifestanti palestinesi disarmati venivano uccisi a sangue freddo dai cecchini israeliani. Tra i morti c’erano otto bambini. Migliaia di altri furono mutilati dal fuoco vivo. Il bagno di sangue potrebbe crescere nei prossimi giorni. Il trasferimento dell’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme occupata da Israele, ordinata dal presidente Trump, è stata rimproverata dalla maggioranza delle nazioni. La mossa preclude qualsiasi accordo di pace negoziato che avrebbe dovuto lasciare in eredità Gerusalemme Est capitale di un futuro Stato palestinese. La decisione di Trump di trasferire l’ambasciata USA sostiene le affermazioni israeliane sull’intera Gerusalemme come “capitale indivisa dello Stato ebraico”. Israele occupa Gerusalemme, scontrandosi con la legge internazionale, dalla Guerra dei Sei Giorni del 1967. In altre parole, Washington è passata dall’accettazione tacita ad una politica apertamente complice dell’annessione israeliana del territorio palestinese, un’annessione che va avanti da settant’anni, dalla nascita dello Stato d’Israele nel 1948. L’approvazione, di fatto, dell’annessione di Gerusalemme segnata dall’apertura dell’ambasciata statunitense, è il culmine di 70 anni di espansione e occupazione israeliana.
Nel frattempo, Putin svelava il ponte che collega la terraferma del sud della Russia alla penisola di Crimea, promemoria puntuale della sfacciata ipocrisia degli Stati occidentali. Da quando la Crimea votò il referendum del marzo 2014 per ricongiungersi alla patria Russia, Washington ed alleati si sono continuamente lamentati della presunta “annessione” di Mosca della penisola sul Mar Nero. Non importa che il popolo di Crimea fu indotto a tenere il referendum sull’adesione dopo il sanguinoso colpo di Stato in Ucraina contro un governo legittimo, da parte dei neo-nazisti sostenuti dalla CIA nel febbraio 2014. Il popolo della Crimea votò un referendum pacificamente costituito per separarsi dall’Ucraina ed unirsi alla Russia, di cui storicamente faceva parte fino al 1954, quando l’Unione Sovietica assegnò arbitrariamente la Crimea alla giurisdizione della Repubblica Sovietica dell’Ucraina. Negli ultimi quattro anni, i governi occidentali, i loro media corporativi, i loro think-tank e l’alleanza militare NATO guidata dagli Stati Uniti, hanno lanciato un’intensa campagna anti-russa di sanzioni economiche, denigrazione e offese basato sulla pretesa dubbia che la Russia abbia “annesso” la Crimea. Le relazioni tra Stati Uniti ed Unione europea verso la Russia sono congelate da una nuova e potenzialmente catastrofica guerra fredda, presumibilmente motivata dal principio secondo cui Mosca avrebbe violato il diritto internazionale e modificato i confini con la forza. La presunta “annessione” della Crimea è citata come segno che Mosca minaccia l’Europa con un’aggressione espansionista. Putin è stato denigrato come “nuovo Hitler” o “nuovo Stalin” a seconda del proprio analfabetismo storico. Tale distorsione occidentale sugli eventi in Ucraina dal 2014 può essere facilmente contestata da fatti concreti come palese falsificazione per nascondere ciò che era in realtà ingerenza illegale di Washington e alleati europei negli affari sovrani dell’Ucraina. In breve, l’interferenza occidentale riguardava il cambio di regime con l’obiettivo di destabilizzare Mosca e proiettare la NATO ai confini della Russia. Questo è un modo per sfidare la narrativa occidentale su Ucraina e Crimea. Attraverso la valutazione di fatti concreti, come le sparatorie dei cecchini majdaniti sostenuti dalla CIA contro dozzine di manifestanti a Kiev nel febbraio 2014. O l’attuale offensiva filo-occidentale delle forze neo-naziste di Kiev contro le repubbliche del Donbas, nell’Ucraina orientale . Un altro modo è accertare l’integrità del presunto principio giuridico occidentale circa la pratica generale dell’annessione do territori.
Ascoltando l’incessante costernazione espressa da governi e media occidentali sulla presunta annessione della Crimea da parte della Russia, si potrebbe pensare che la presunta espropriazione sia una grave violazione del diritto internazionale. Oh, per quanto cavallereschi si potrebbero pensare Washington ed europei a difesa della sovranità territoriale, a giudicare dal loro apparente giusto rifiuto dell’”annessione”. Tuttavia, l’apertura grottesca dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme, accompagnata dal massacro di manifestanti palestinesi disarmati, dimostra che le preoccupazioni professate dagli occidentali sull’”annessione” non sono altro che una diabolica menzogna. In sette decenni di espansione dell’occupazione illegale del territorio palestinese da parte degli israeliani, Washington ed europei non hanno emanato alcuna opposizione. Ma quando si tratta di Crimea, anche se le loro pretese non sono valido, le potenze occidentali non smettono mai di tormentarsi per l’annessione alla Russia, come se fosse il peggiore crimine della storia moderna. Peggio dell’ipocrisia, Stati Uniti ed Unione europea sono silenziosi complici d’Israele nella continua annessione di territorio palestinese, nonostante la violazione del diritto internazionale. I massacri periodici e l’intera popolazione detenuta sotto un brutale assedio nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania non hanno mai registrato alcuna opposizione dalle potenze occidentali. Questa settimana, Washington ha fatto un ulteriore passo avanti, in effetti, esultando l’annessione israeliana del territorio palestinese nel modo più provocatorio, aprendo l’ambasciata nella Gerusalemme occupata. Quindi, oltre a tale violazione del diritto internazionale, abbiamo l’oscenità della Casa Bianca di Trump che difende il massacro di civili disarmati come “autodifesa” dell’esercito israeliano che occupa illegalmente, ed è armato dagli Stati Uniti. La licenza di uccidere dalla Casa Bianca. La patetica, muta risposta di Unione Europea e Nazioni Unite nei confronti di questo terrorismo di Stato e crimine n’espone la vigliacca complicità. L’ambasciatrice degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite Nikki Haley accusava istericamente per mesi la Russia di violazioni in Ucraina e Siria. Eppure, sulla strage di palestinesi di questa settimana, Haley rimaneva muta. Le sue uniche osservazioni erano le congratulazioni ad Israele per la nuova ambasciata degli Stati Uniti nella Gerusalemme occupata. Quindi, la prossima volta che sentiremo Washington ed alleati europei pontificare sull’”annessione” della Russia, l’unica risposta appropriata dovrà essere il disprezzo per la loro vile ipocrisia nei confronti dei diritti e del genocidio dei palestinesi sotto l’occupazione sostenuta dall’occidente.Traduzione di Alessandro Lattanzio

Sorgente: Il massacro di Gaza illustra l’ipocrisia occidentale

The myth of the Gaza ‘border’

The Green Line disguises the fact that Palestinians in Gaza are no longer being oppressed outside the Israeli state, but are being caged and brutalized inside it.

Palestinian protesters inside the Gaza Strip throw stones in the direction of an Israeli military position on the other side of the border fence, Gaza Strip, December 8, 2017. (Ezz Zanoun/Activestills.org)

 

Palestinian activists have long criticized the use of the word “border” to describe the 1949 armistice line that divides Gaza and Israel, and which protestors in the Great March of Return have been trying to cross at great risk to life and limb. By invoking the term, Israel insists that its open-fire policy toward the march is part of its legitimate right to defend its sovereignty and security. It further claims that, because the government dismantled its settlements in 2005, it no longer occupies the Strip and therefore bears no responsibility for its conditions.

These are disingenuous arguments. Israel’s blockade and control of Gaza stretches from its eastern and northern land crossings to the Mediterranean Sea in the west, with Egypt controlling the south. What it calls a “border” is actually a militarized network of naval ships, barbed wire, electronic barriers, lethal no-man zones, and surveillance systems that operate as the fence of an open-air prison. In legal terms, Israel retains “effective control” of the Strip (including people’s movement, its airspace, flow of goods, and other needs of daily life), and therefore remains its occupying power.

An Israeli warship approaches a Palestinian skiff, as photographed from the observation boat Olivia (photo: Rosa Schiano/Civil Peace Service Gaza CPSGAZA)

The human rights community has spent years articulating the nature of Israel’s occupation under international law and the responsibility of third-parties to end it. The law, however, is only worth as much as the will to enforce it; and half a century later, these efforts have failed to produce meaningful outcomes. It is not that the law is incorrect, but that it has been unable to mobilize political action or make Israel’s military rule less sustainable.

The Palestinians’ own ambiguities about the Green Line have further complicated matters. We focus on the military structures that have spawned since 1967, yet emphasize that the real problem is 1948. We cite Israel’s obligation to abide by international law, but chastise the law for being useless in practice. We combine settler colonialism, occupation, and apartheid as lenses to explain the ongoing Nakba, but arrive at different conclusions for what the solution entails. These debates are natural, but they also muddle the struggle’s priorities and the discourse it promotes.

Exploiting these uncertainties, Israel has turned Gaza into an area that is simultaneously separated from and annexed under Israel’s control. It is a purgatory designed to provide whatever answer is most convenient for shirking responsibility and justifying violence at any given time. This has obscured a controversial but perhaps inexorable fact: after 51 years, Gaza can hardly be described as “occupied territory” anymore. It is now a segregated, debilitated, and subjugated part of Israel; a replica of the districts, townships, and reservations that imprisoned native populations and communities of color in apartheid South Africa, the United States, and other colonial regimes. In other words, Palestinians are no longer being oppressed outside the Israeli state; they are being caged and brutalized inside it.

Israeli soldiers look on at protests in Gaza. April 13, 2018. (Oren Ziv / Activestills.org)

The Green Line has been key to disguising this complex system. Like the de facto annexation of the West Bank – where Israel’s growing settlements and military presence have similarly made the “border” there non-existent – Gaza has effectively been absorbed into Israel’s political jurisdiction. Hamas, like the Palestinian Authority, is viewed as a pseudo-government of hostile “enemy aliens,” but one that can be managed in Israel’s domain so long as it is contained behind the fence. The thousands taking part in the March of Return are not “infiltrators” trying to breach a sovereign state, but displaced and disenfranchised “citizens” breaking out of a state-built ghetto. The army is not holding off “foreign invaders,” but is killing and suppressing its own native subjects.

This framing is crucial to understand the scale and severity of Israel’s policies, and to devise stronger paths to correcting their injustices. By tearing off the mask of the Green Line, Palestinians and their allies can reverse Israel’s efforts to isolate Gaza from the West Bank and to deny its people’s rights to their ancestral homes. What Israel fears more than a Palestinian state is a Palestinian population it cannot disown, and the myth that Gaza is “separated” from Israel helps it to balance that fear. That myth must be broken, and that racist fear must be exposed. Doing so would also reveal the political solution: if Palestinians cannot win their independence along the Green Line, they will demand their full equality beyond it. The March of Return is doing just that.

Sorgente: The myth of the Gaza ‘border’

I massacri a Gaza non fermeranno la lotta del popolo palestinese per la libertà

Dichiarazione del Partito Comunista di Israele da solidnet.org Traduzione di Marx21.it

Il Partito Comunista di Israele (CPI) condanna fermamente i crimini dell’occupazione israeliana contro i manifestanti palestinesi disarmati, nel corso della Marcia per il Ritorno a Gaza: crimini che hanno ucciso più di 50 persone, compresi i bambini e le persone disabili. Questo terribile massacro non fermerà la lotta del popolo palestinese per la sua libertà, una lotta che è in corso da 70 anni.

Il CPI denuncia l’apertura ufficiale dell’ambasciata USA a Gerusalemme: è un passo provocatorio, non condiviso dalla maggioranza delle nazioni, come pure dal popolo palestinese e da tutti gli amanti della pace a livello nazionale e internazionale.

Questo passo, insieme al ritiro unilaterale degli Stati Uniti dal trattato nucleare con l’Iran, esprime la direzione impressa dal patto tra i regimi di Trump-Netanyahu-reazionari del Golfo, che cerca di confondere la vera natura del conflitto, descrivendola non come una lotta contro l’occupazione israeliana e l’egemonia statunitense, ma come un conflitto religioso, allo scopo di nascondere la questione palestinese.

Il CPI fa appello a un’ampia mobilitazione e alla partecipazione alle iniziative organizzate dal High Follow-Up Committee for the Palestinian Population in Israel nei villaggi e nelle città arabe, alla mobilitazione di massa dei suoi militanti nelle azioni organizzate nel paese dal CPI, da Hadash e dalla YCLI (la gioventù comunista).

Il Partito Comunista di Israele invita anche tutte le forze della pace a Tel Aviv e a Gerusalemme Ovest a protestare contro questi crimini di guerra e per ottenere una Pace Giusta che porti principalmente all’istituzione di uno Stato Palestinese entro i confini del 1967 e Gerusalemme Est come sua Capitale.

Il CPI invita inoltre tutti i partiti fratelli, le forze di sinistra e progressiste a rafforzare la solidarietà con il popolo palestinese contro l’occupazione israeliana e i suoi crimini, e a respingere completamente le politiche statunitensi che stanno spingendo l’intera regione verso l’abisso.

via I massacri a Gaza non fermeranno la lotta del popolo palestinese per la libertà — Falcerossa – Comuniste e comunisti

Gazans prepare for ‘Friday of martyrs’ after carnage

Palestinians are gathering for fresh protests in the Gaza Strip after Israeli massacre of more than 60 people in the besieged enclave on Monday. 

The committee which organized weekly “March of Return” rallies has called on the Gazans to come out en masse on the first day of the fasting month of Ramadan, under the slogan “Friday for the martyrs and the wounded.”

Israeli snipers, tanks and armored vehicles remain deployed near the Gaza fence after they killed at least 62 Gazans on the same day the US opened its embassy in occupied Jerusalem al-Quds.

Tens of thousands of people have been protesting along the fortified fence since March 30, calling for Palestinian refugees and their descendants to be allowed to return to their homes now inside Israel.

On Thursday, Israel carried out airstrikes on what it described as militant sites in Gaza, apparently targeting Hamas which it accuses of organizing protest rallies. The Palestinian Health Ministry said one man was injured during the attacks.

UN voting to probe Gaza attacks

Israel was also scrambling to thwart a special session by the United Nations Human Rights Council on Friday to decide whether to dispatch “an independent commission of inquiry” to investigate allegations of Israeli war crimes in Gaza.

The team would be mandated to look into “alleged violations and abuses, including those that may amount to war crimes and to identify those responsible,” read the text of a resolution submitted on Thursday night.

The commission should look at “ending impunity and ensuring legal accountability, including individual criminal and command responsibility, for such violations,” it added.

The Israeli mission at the United Nations has been ordered to prevent the investigation, said a Thursday report by Israel’s Channel 10.

Meanwhile, international condemnation of the Israeli killing, which shocked the world by its ferocity, continued. On Thursday, French President Emmanuel Macron condemned the “heinous acts” committed by Israel.

Palestinian Foreign Minister Riyad al-Maliki, who was addressing a meeting of the Arab League, called the carnage “a bloody racist massacre committed by the Israeli occupation forces in cold blood against our defenseless people.”

More than 2,700 Palestinians were wounded as the Israeli forces used snipers, tank fire and tear gas to target the demonstrators. A Canadian physician was shot by an Israeli sniper in both legs while treating the injured.

“Canada deplores and is gravely concerned by the violence in the Gaza strip that has led to a tragic loss of life and injured countless people,” Canadian Prime Minister Justin Trudeau said on Thursday.

“We are appalled that Dr Tarek Loubani, a Canadian citizen, is among the wounded – along with so many unarmed people, including civilians, members of the media, first responders, and children.”

Palestinian protesters have hoped to draw attention to a dire humanitarian crisis in Gaza, where the economy has collapsed under an Egyptian-Israeli blockade since 2007.

Egyptian President Abdel Fattah al-Sisi said on Thursday he had made a rare decision to open the Rafah crossing with Gaza for a month, allowing Palestinians to cross during the holy period of Ramadan.

The Rafah crossing is Gaza’s only gateway to the outside world not controlled by Israel, but Egypt has largely sealed it in recent years under a security cooperation agreement with Tel Aviv.

 

Sorgente: PressTV-Gazans prepare for ‘Friday of martyrs’ after carnage

Gerusalemme, a Gaza omicidi autorizzati. La legge internazionale li deve condannare.

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Secondo i dati appena pubblicati dall’Onu, dal 30 marzo sono 104 i palestinesi che sono stati uccisi durante le manifestazioni a ridosso della barriera che circonda e imprigiona la Striscia di Gaza. Di questi, dodici erano minori, bambini. Altri dodici, inclusi due bambini, sono stati uccisi in altre circostanze correlate. L’impressionante numero di feriti si aggira intorno a 12.600, di cui la metà ricoverati in ospedale, tra cui molti mutilati in gravissime condizioni. Tra questi, il numero di persone che ha subito amputazioni (specie di una gamba) o la perdita di un arto, o ferite alla testa o al torace, è ancora imprecisato ma dai bollettini medici emergono dati scioccanti. Gli ospedali di Gaza chiamano la popolazione ad accorrere per donare il sangue.

Sordi a ogni richiamo, a ogni legge di umanità, prima ancora che ad ogni principio fondamentale di diritto internazionale e regole sull’uso della forza, i militari israeliani hanno innalzato il livello di violenza fino a portarlo a livelli inimmaginabili. Solo nella scorsa giornata di lunedì, 15 maggio, 60 persone di cui 8 bambini sono stati uccisi e quasi tremila feriti, oltre la metà colpiti direttamente da proiettili sparati dai cecchini israeliani.

Altri 166 Palestinesi, tra cui quattro minori, sono stati feriti in manifestazioni tenutesi in Cisgiordania in commemorazione della Nakba, esacerbate dalla incommentabile, irresponsabile e illegale decisione di Trump di spostare l’ambasciata Usa a Gerusalemme.

Occorre ribadire chiaramente, di fronte a questi omicidi autorizzati ai massimi livelli, che in base al diritto internazionale l’uso della forza armata può essere giustificato solo per proteggere contro una minaccia letale o un grave pericolo imminente. Come invece documentato tra gli altri da Amnesty International – certamente non un’organizzazione che può essere considerata di parte in questo conflitto – “i militari israeliani hanno ucciso e mutilato manifestanti che non ponevano alcun pericolo per loro”.

Nel frattempo a causa del blocco imposto alla Striscia, Gaza è senza benzina, senza elettricità, senza acqua potabile, senza servizi di trattamento dei rifiuti, gli ospedali impossibilitati a lavorare, le scorte di emergenza quasi terminate. Nonostante tutto, il check point di Erez (che collega Gaza a Israele e dunque alla Cisgiordania e da lì alla Giordania e al resto del mondo) è rimasto ermeticamente chiuso. Rafah, il valico per l’Egitto, chiuso da mesi, è stato eccezionalmente aperto per i prossimi giorni e le autorità egiziane hanno permesso a 389 persone di lasciare Gaza per andare a curarsi, incluso (sembra ironico a scriversi) uno (su 12.600!) dei manifestanti feriti.

Osservo la crudeltà che va in scena a Gaza da lontano.

Sono qui all’Aia, in Olanda, da lunedì per partecipare all’annuale “Icc-Ngo roundtable” la tavola rotonda organizzata dalla Coalizione per la Corte penale internazionale che per una intera settimana mette a confronto e in dialogo le varie organizzazioni per i diritti umani con i funzionari della Corte penale internazionale, con la procuratrice in primis.

Quest’anno, ci sono circa 120 partecipanti tra gli esponenti delle Ong, internazionali e locali, dall’Uganda all’Afghanistan, da Amnesty International a Human Rights Watch. Io sono qui per conto del centro con cui collaboro a Berlino, Ecchr. Una piccola assemblea generale, variegata e colorata, informale ma molto composta e strutturata. Il nuovo edificio che ospita la Corte è davvero bello e imponente, comunica autorevolezza e serietà senza (troppo) intimidire.

Gaza è lontana, fisicamente migliaia di chilometri lontana, ma allo stesso tempo vicinissima. È inevitabile parlarne. L’attuale crisi non era tra le priorità all’ordine del giorno, fissato diverso tempo fa, ma non fa che riemergere. Riemerge negli interventi di organizzazioni come Amnesty International, nelle risposte della Procuratrice, nei discorsi a latere dei vari partecipanti. Le organizzazioni palestinesi purtroppo sono minimamente rappresentate.

I Gazani non possono muoversi e anche dalla Cisgiordania occupata il viaggio è davvero complicato. Al Haq ha un suo ufficio qui all’Aia e la giovane avvocatessa palestinese che rappresenta la più antica organizzazione per i diritti umani della Palestina è ammirevole per come riesce a gestire tanta pressione.

Il senso di sgomento è comune e condiviso. Lo sdegno enorme. La Corte sa di dovere fare la sua parte. La sensazione che la tanto attesa indagine sui crimini commessi in Palestina si avvicini è forte. Se sarà davvero così lo vedremo nei prossimi mesi. Le inimmaginabili pressioni politiche e i veti incrociati rendono talvolta il (de)corso della giustizia penale internazionale una penosa e lentissima camminata ad ostacoli. Ma siamo in molti ancora a crederci. E, del resto, quale sarebbe l’alternativa? Ancora violenza in risposta alla violenza? Come su piccola scala il diritto penale dovrebbe servire ad evitare la vendetta privata, su larga scala quello internazionale dovrebbe segnare il superamento dei conflitti (armati, dell’uso della forza militare. È un errore madornale continuare a fare sentire i Palestinesi indifesi, abbandonati a se stessi, quasi irrilevanti per gli organismi internazionali. L’attuale situazione non può che generare mostri. E su questo tutti dovremmo sentirci chiamati in causa.

Oggi Gaza si è fermata a piangere i suoi morti ed è stata una giornata relativamente tranquilla; tranquillissima anzi rispetto a quello che ci si attendeva nel giorno della commemorazione della Nakba, con decine di migliaia di manifestanti annunciati. Ma le manifestazioni andranno avanti.

Come mi scrive oggi Raji Sourani, il direttore del Palestinian centre for Human rights, da Gaza: “Siamo dalla parte giusta della Storia. Non abbandoneremo. Dignità e libertà sono troppo preziose per essere compromesse. Siamo le pietre della valle e nessuna forza o potere potrà portarci via da qui. Fino all’ultimo respiro noi resisteremo. Pace e amore da Gaza”.

thanks to: il Fatto Quotidiano

Giurista, studiosa di diritto penale internazionale

Perché i palestinesi protestano a Gaza?

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A cura del GPI. Perché i palestinesi protestano a Gaza?
95% dell’acqua non è potabile.
4 ore di elettricità al giorno.
45% disoccupati.
46% dei bambini soffrono di anemia acuta.
50% dei bambini non esprimono la volontà di vivere.
2 milioni di persone private della libertà di movimento.

 

thanks to: Agenzia stampa Infopal

80+ INGOs demand accountability for Israel’s unlawful killing of demonstrators in Gaza strip

PNN/

AIDA, a network of more than 80 INGOs operating in the occupied Palestinian territory (oPt), on Tuesday condemned Israel’s unlawful killing of demonstrators at the border of the Gaza Strip on 14 May 2018. So far, 61 Palestinians have been killed, including one medic and eight children, and over 2,700 others have been injured, the majority by live ammunition fired at protesters by Israeli security forces, according to the Ministry of Health in Gaza. The casualties occurred in the context of protests near the fence with Israel.

“Israel’s continued use of lethal and excessive live-ammunition against protestors is not only deplorable, but also in sharp contravention of international law,” said William Bell, Head of Middle East Policy and Advocacy, Christian Aid.

Monday’s demonstration is a culmination of a sequence of protests organized since 30 March 2018 to mark 70 years since the expulsion of more than 750,000 Palestinians from their homes in 1948. More than 70 % of Gaza’s population are refugees, living under dire circumstances in the besieged Strip.

“The Gaza Strip is on the verge of a humanitarian disaster as a result of 11 years of blockade, which has crippled Gaza’s economy and increased aid dependency, with some 84 % dependent on humanitarian assistance, and an unemployment rate which stands at a staggering 45 %. Gaza is an open air prison for 2 million women, men, boys and girls, living under air, sea and land blockade. People are losing hope that the untenable situation they find themselves in will ever be resolved”, said Chris Eijkemans, Country Director for Oxfam in the occupied Palestinian territory and Israel.

Since 30 March, more than 100 Palestinians have been killed, and another 12,271 injured, including hundreds of children. In addition, medical personnel and facilities have also come under fire, resulting in the injury of 211 medical staff and damage sustained to 25 ambulances, according to WHO. Hospitals are at the brink of collapse, unable to deal with the vast number of injured as a result of a decade-long blockade and insufficient electricity and medical supplies and equipment. Due to the near impossibility of obtaining a medical referral for surgery outside of the Gaza Strip, 21 Palestinians injured during demonstrations have so far had limb amputations since 30 March.

According to international law, lethal fire may only be used in circumstances where threat to life is imminent. Israeli forces are obliged to exercise restraint and refrain from excessive use of force, and respect Palestinians’ right to life, health and freedom of assembly. Targeting medical personnel is a breach of IHL and is considered a War Crime under the Rome Statute. Preventing injured persons from accessing treatment is a violation of their right to health, and amounts to collective punishment.

AIDA called on third states to condemn Israel’s unlawful killings and to step up their pressure on Israel to immediately halt its practice of using live ammunition against unarmed demonstrators, which runs contrary to Israel’s obligations under international law, and to lift its unlawful blockade of the Gaza Strip. Echoing the words of UN Secretary General, Antonio Guterres, AIDA urges third states to demand independent and credible investigations into the incidents, and for those responsible to be held to account.

Sorgente: 80+ INGOs demand accountability for Israel’s unlawful killing of demonstrators in Gaza strip – PNN

AL NAKBA E LA MATTANZA ISRAELIANA DEL POPOLO PALESTINESE

AL NAKBA E LA MATTANZA ISRAELIANA DEL POPOLO PALESTINESE

di Paola Di Lullo

Mentre scrivo le agenzie riportano 59 martiri a Gaza. Purtroppo, anche stamattina, mi compaiono solo i 43 nomi già scritti, più un altro.

Leila al-Ghandour, 8 mesi, morta stanotte per eccessiva inalazione di gas lacrimogeni. Otto mesi, infanticidio.

Erano 900 i feriti da inalazione. Ma ciò che conta e che in molti non sanno è che i lacrimogeni sparati dai cecchini israeliani, che si aprono all’impatto con il suolo o direttamente in aria, non contengono solo elementi urticanti, ma agenti altamente tossici che, se inalati per tempo più o meno prolungato, portano ad un arresto respiratorio. Per questo motivo, i villaggi della Cisgiordania, dove ogni venerdì si svolgono manifestazioni che vorrebbero essere pacifiche, ma che vengono disperse dall’uso delle armi israeliane, hanno sempre un’ambulanza dotata di attrezzi per la rianimazione. Il gas penetra nelle vie aeree ed in un primo momento brucia e chiude la gola. Mi direte, scappa, no? E no, perché bruciano e si chiudono anche gli occhi. E stavolta la fonte sono io.

Naturalmente, Leila non poteva scappare. Forse nemmeno dare segno di sofferenza. Forse, quando i genitori se ne sono accorti, era troppo tardi. Sono ipotesi, ma non tropo azzardate.
Ora, la domanda è : davvero Israele ha mirato i “terroristi”? O ha usato indiscriminatamente la sua forza armata?

Vi segnalo un altro caso, Fadi Abu Salmi. Nel 2008, durante Cast Lead aveva perso entrambe le gambe ma la sua menomazione fisica non ha mai domato la sua sete di giustizia. E così, per cinque venerdì si è recato al border, armato della sua piccola fionda. Dev’essere stato un duro affronto per i soldatini israeliani, la sfida di quest’uomo! Con che ardire si permetteva di sfidare loro, lui povero storpio?

E così ieri hanno fatto fuoco. Per uccidere. E con Fadi, chiunque abbia premuto il grilletto, ha perso la sua dignità e la sua umanità, posto ne fosse dotato. Adesso mi piacerebbe non leggere su Breaking the Silence, associazione israeliana che fa un lavoro pregevole, che il soldatino è pentito. Breaking the Silence è stata preziosa fonte di informazioni, almeno per me, durante Protective Edge, l’offensiva israeliana del 2014 contro la Striscia. Tramite i racconti dei soldati presenti all’invasione di terra, e non solo, è stato possibile sapere come erano indottrinati. Ma oggi no. Sei un soldato, presumibilmente nemmeno di leva? Il tuo superiore ti ordina ti sparare ad un handicappato che MAI potrà nuocere né a te né al tuo paese? Diserta, affronta il carcere, salva la faccia, non sporcarti le mani ancor più di quanto non ti facciano credere sia necessario. Non mi serve sapere che dopo aver ucciso Fadi a sangue freddo hai pianto, sei andato ad ubriacarti in uno dei lussuosi bar di Tel Aviv, hai abbracciato mammina e papino. E non serve alla famiglia di Fadi. E non ci fai più pena e rabbia, ma schifo.

Stessa sorte era toccata il 14 dicembre scorso ad Ibrahim Nayef Ibrahim Abu Thurayeh, 20 anni, gambe amputate e cieco. Ibrahim era al border a manifestare contro la decisione di Trump di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. Anche in quel caso, un uomo senza gambe fu ritenuto un pericolo imminente per la salvezza dei cecchini che lo freddarono. L’Alto commissario ONU per i diritti umani, Zeid Raad Al Hussein, “scioccato” per il fatto, chiese un’inchiesta indipendente.

Ieri, Il Kuwait, piccolo Paese arabo del Golfo e membro non permanente del Consiglio di Sicurezza, ha annunciato oggi che presenterà una richiesta per una riunione di emergenza dell’organismo esecutivo dell’Onu per i fatti a Gaza. Il Consiglio dovrebbe riunirsi oggi, dopo che Gli Stati Uniti hanno bloccato l’adozione di un comunicato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che chiedeva un’inchiesta indipendente sugli scontri mortali nella Striscia di Gaza.

Nella bozza di testo che la France Presse è riuscita a ottenere, “il Consiglio di Sicurezza esprime indignazione e tristezza di fronte alla morte di civili palestinesi che esercitano il loro diritto a manifestare pacificamente”.

Il Consiglio “chiede un’inchiesta indipendente e trasparente su queste azioni per garantire” che sia fatta luce a riguardo, ha aggiunto il testo.

Intanto, il Sudafrica ha convocato il proprio ambasciatore, il ministro degli Esteri iraniano,  Mohammad Javad Zarif, ha dichiarato che  “Il regime israeliano massacra innumerevoli palestinesi a sangue freddo mentre protestano nella più grande prigione a cielo aperto del mondo e nel frattempo (il presidente Usa Donald) Trump celebra lo spostamento del’ambasciata illegale Usa. Un giorno di grande vergogna”.

Francia ed Italia condannano le violenze, ma oltre non vanno.

La Turchia ha invece accusato gli Stati Uniti di essere “complici” di Israele per il “massacro” a Gaza, dove oltre 50 palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane mentre stavano protestando contro il trasferimento del ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. “Purtroppo, gli Stati Uniti si sono messi a fianco del governo israeliano nel massacro di civili e sono diventati complici di questo crimine contro l’umanità”, ha detto ai giornalisti il primo ministro turco Binali Yildirim ad Ankara. “Condanniamo fermamente questo vile massacro”. In precedenza, il portavoce del governo turco Bekir Bozdag ha dichiarato su Twitter che “l’amministrazione statunitense è responsabile quanto Israele per questo massacro”.
Ed Abu Mazen? Il presidente palestinese si è limitato a  proclamare tre giorni di lutto e  ad affermare che “gli Stati Uniti non sono più un mediatore in Medio Oriente” e che la nuova ambasciata equivale a “un nuovo avamposto coloniale americano” a Gerusalemme.

Davvero di più non si poteva? Davvero una denuncia per crimini di guerra, dopo l’istruttoria presentata a L’Aia nel 2015, di cui io ho perso le tracce, non sarebbe stata più adeguata? Che ne è stato della I istruttoria? Congelata, ritirata o boicottata? Non sarebbe giusto che il mondo sapesse se gli eletti governano anche a L’Aia?

Intanto oggi ricorre anche il 70° anniversario della Nakba e sono attesi nuovi scontri, dal momento che nel febbraio 2010 la Knesset ha varato una legge che proibisce ai palestinesi in Palestina di manifestare pubblicamente lutto e dolore in questa data.

Al Nakba, la Catastrofe, è  il temine che sta a designare l’esodo forzoso della popolazione Palestinese costretta ad abbandonare le proprie terre e le proprie case, all’indomani della fine del mandato britannico in Palestina e della fondazione dello stato d’Israele, secondo quanto previsto dal Piano di Partizione della Palestina ( risoluzione 181 del 29 novembre 1947 ). Il 14 maggio 1948, alla scadenza del mandato britannico, David Ben Gurion autoproclamò lo Stato d’Israele.

Il 15 maggio del 1948 l’esercito sionista invase i territori palestinesi, impossessandosi delle terre, delle case e del futuro del popolo palestinese.
L’Inghilterra facilitò la strada agli ebrei, arrivati da Europa, Russia e America, per creare il proprio stato su terreni altrui, per colonizzare lentamente Il territorio palestinese, a poco a poco e con ogni possibile mezzo e modo.

Se risulta vero che immigrazioni di ebrei in Palestina, si erano già registrate sin dagli inizi del 1900, è altrettanto vero che, con la Dichiarazione di Balfour, del 2 novembre 1917, esse si intensificarono. L’allora ministro degli esteri inglese, Arthur Balfour scriveva a Lord Rothschild, principale rappresentante della comunità ebraica inglese, e referente del movimento sionista, di guardare con favore alla creazione di un “focolare ebraico” in Palestina, in vista della colonizzazione ebraica del suo territorio. Tale posizione del governo emerse all’interno della riunione di gabinetto del 31 ottobre 1917.

Al Nakba è stato il giorno in cui il popolo Palestinese si è trasformato in una nazione di rifugiati, in cui almeno 750.000 persone, l’85% dei palestinesi, sono state espulse dalle loro case e costrette a vivere nei campi profughi, sono state cacciate dalla terra che divenne Israele. Molti di quelli che non sono riusciti a scappare, o si sono ribellati, o in qualche modo rappresentavano una minaccia per il progetto sionista, sono stati uccisi.

La comunità internazionale era al corrente di questa pulizia etnica, ma decise, soprattutto in occidente, di non scontrarsi con la comunità ebraica in Palestina dopo l’Olocausto. Le operazioni di pulizia etnica non consistono solo nell’annientare una popolazione e cacciarla dalla terra. Perché la pulizia etnica sia efficace è necessario cancellare quel popolo dalla storia e dalla memoria. Sulle rovine dei villaggi palestinesi gli israeliani costruiscono insediamenti per i coloni chiamandoli con nomi che richiamano quello precedente. Un monito ai palestinesi: ora il territorio è nelle nostre mani e non c’è possibilità di far tornare indietro l’orologio. Oppure costruiscono spazi ricreativi che sono l’opposto della commemorazione: vivere la vita, goderla nel divertimento e nel piacere. È un strumento formidabile per un atto di “memoricidio”.

Si conoscono più di 530 villaggi palestinesi che sono stati evacuati e distrutti completamente, con annesso il tentativo di cancellare addirittura l’esistenza di quegli agglomerati, eliminando foto dell’epoca, documenti e testimonianze di vita e cultura palestinese. Israele oggi continua ad impedire il ritorno a casa di circa otto milioni di rifugiati e continua ad espellere i palestinesi dalla loro terra, attraverso politiche razziste degne del peggiore apartheid. Il tutto sotto lo sguardo complice della “comunità internazionale”.

Queste operazioni assumono di volta in volta forme e nomi diversi, attualmente vengono chiamati “trasferimenti”. I rifugiati palestinesi sono fuggiti in diversi posti e la maggior parte di questi vive nel raggio di 100 miglia dai confini d’Israele, ospite negli stati arabi confinanti; alcuni sono fuggiti nei paesi limitrofi intorno alla Palestina, altri sono fuggiti all’interno della Palestina ed hanno vissuto nei campi profughi, costruiti appositamente per loro dalle agenzie ONU, e altri si sono dispersi in vari paesi del mondo.

Tutti i rifugiati hanno un sogno in comune: ritornare nelle loro case di origine, e questo sogno è sancito da una risoluzione ONU, la 194, una delle oltre 70 che Israele continua impunemente a violare.

Names and faces of this weeks martyrs

Gaza killings: Names and faces of those killed by Israeli forces this week Eight-month-old Laila is youngest Palestinian killed in Gaza on Monday, the deadliest day since 2014 war * * * * List of names and ages … 1. Laila Anwar Al-Ghandoor, 8 months old 2. Ezz el-din Musa Mohamed Alsamaak, 14 years old […]

via NAMES AND FACES OF THIS WEEK’S MARTYRS — Desertpeace

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